Buen Camino

Scegliere di partire, affrontare la fatica e riscoprire la vita
Quando mio fratello mi ha detto che voleva fare il Cammino di Santiago, non ci ho pensato due volte e gli ho chiesto subito se potevo partire con lui.
Non sapevo bene il motivo. Forse perché era un sogno che rimandavo da troppo, forse perché quest’anno mi sono buttata in tanti cambiamenti. Sentivo il bisogno di partire: per cercare risposte, per fare chiarezza, o semplicemente per mettermi alla prova.
Così abbiamo preso i biglietti per Oviedo e il 4 settembre siamo arrivati a León. Avevamo preparato un itinerario… che ovviamente non abbiamo rispettato. Quattordici giorni di cammino, una media di 30 chilometri al giorno.
Non è stato facile: alcune giornate il sole ci ha ustionato il viso, altre faceva freddo e pioveva. In soli quattordici giorni abbiamo attraversato praticamente quattro stagioni. Mio fratello ha sofferto con il tendine di Achille dolorante, io con vesciche ai piedi e muscoli indolenziti, a turno abbiamo avuto l’influenza intestinale. Ogni sera dovevamo adattarci a un nuovo ostello, dormire in un letto diverso, condividere gli spazi con persone che non conoscevamo. Ma non ci siamo arresi: passo dopo passo, abbiamo affrontato ogni condizione senza mollare mai.
Per due settimane ho vissuto in una dimensione parallela, senza tv, computer o telefono, spesso isolati in montagna, senza campo. Ho riscoperto la bellezza del condividere, dell’aiutarsi, dello stare insieme. Mi sono tornati in mente gli anni con gli scout: i campeggi, le canzoni stonate intorno al fuoco. Ho pensato al mio amico Fabio, che avrebbe amato questa esperienza.
Ci sono stati giorni durissimi, in cui avrei voluto mollare. Giorni in cui ero sola con me stessa, con i miei limiti. Ma non mi sono fermata. Ho continuato a camminare anche per chi non può più farlo, e inevitabilmente ho pensato a mio cugino Ciro, a mio padre. Nei momenti di fatica erano loro a ricordarmi che avevo ancora un privilegio.
Gli incontri lungo la strada
Sul Cammino ho conosciuto persone che non dimenticherò mai.
Agostino, per tutti Ago, siciliano di origine e toscano d’adozione, lo abbiamo incontrato la prima sera a Léon. Zaino enorme, crocs ai piedi e camicie hawaiane: un personaggio unico. Dopo una vita di eccessi, aveva promesso alla madre, in punto di morte, che un giorno avrebbe fatto il Cammino. A cinquantacinque anni ha mantenuto la promessa. L’ho ammirato per la sua capacità di fregarsene del giudizio degli altri e per il coraggio di cambiare direzione.
A Ponferrada abbiamo conosciuto Fabiano e Vilma, una coppia toscana. Quella sera non avevamo il sale per l’acqua della pasta, e lei si è alzata di colpo per andarcelo a comprare. Un gesto semplice, ma pieno di calore. In pensione dopo 42 anni di lavoro, hanno deciso di rimettersi in gioco insieme. Li ho un po’ invidiati: avevano ancora tanto tempo da vivere uno accanto all’altra.
Poi c’erano Filippo e Matteo, due ragazzi di Terni. Giovani, spensierati, con la leggerezza di chi è partito per ritrovarsi dopo scelte difficili e università lasciate a metà. L’ultimo giorno Filippo mi ha detto con un sorriso: «Ci vediamo a Santiago». Perché, come tutte le strade portano a Roma, tutte le strade portano a Santiago.
A Foncebadón abbiamo incontrato Lorenzo, anche lui di Terni, partito dopo un anno complicato, pieno di domande. Con lui c’era Mattia, che aveva appena cambiato percorso universitario. Entrambi cercavano un nuovo inizio.
E poi Alberto, argentino trapiantato a Trento, che aveva fatto il Cammino più volte. Mi ha raccontato della sua magia, e proprio quella sera l’ho sentita davvero: durante una cena comunitaria, con una chitarra e un organetto, italiani, americani e tedeschi hanno cantato insieme. Non c’erano più differenze di lingua, età o provenienza. Eravamo solo esseri umani, uniti dalla voglia di condividere.
Ho incontrato Luisana, abruzzese che vive a Londra, divisa dal dubbio se restare o tornare a casa. Alan, mezzo svizzero e mezzo italiano, che vive in Spagna come nomade digitale. Dino, dalla Germania, che ha lasciato un lavoro in una grande azienda per scrivere poesie. Massimo e Davide, padre e figlio pugliesi, due passi diversi, due età lontane, ma un solo obiettivo: arrivare insieme. Marcel, un ragazzo polacco partito a giugno per onorare la moglie morta a maggio, dopo anni di malattia. La sua dignità e la sua dolcezza mi hanno commossa.
Coincidenze che sembrano magia
Un giorno, in un bar sperduto tra i monti, ho incontrato un uomo che aveva vissuto per anni a Formentera. Mi ha detto che vendeva braccialetti e oggetti di metallo. Ho avuto un flash: l’avevo fotografato proprio lì, nell’estate del 2021. Gliel’ho mostrata sul telefono e siamo rimasti senza parole. Dopo quattro anni ci ritrovavamo in quel posto, per caso. Abbiamo riso e ci siamo abbracciati come se ci conoscessimo da sempre. A volte la vita è davvero sorprendente.
Per tutto il Cammino, chiunque incontrassimo pensava che io e mio fratello fossimo fidanzati. Ogni volta spiegavamo che eravamo fratello e sorella, e tutti rimanevano sorpresi. Io invece sono tornata a casa con una certezza in più: il nostro legame è raro e prezioso.

La scoperta di me stessa
L’ultimo giorno, dopo la doccia, mi sono fermata a guardarmi allo specchio. Ho abbassato lo sguardo sulle mie gambe.
Per anni ho visto solo difetti: cellulite, smagliature, inestetismi. Ho passato estati a coprirmi, a sentirmi a disagio in costume, a confrontarmi con corpi che mi sembravano sempre migliori del mio.
Eppure, quel giorno, le mie gambe erano diverse. Non perché la cellulite fosse sparita — c’era ancora, esattamente dov’era sempre stata — ma perché io le guardavo con occhi nuovi. Quelle gambe avevano percorso 340 km, passo dopo passo, senza allenamento, con ginocchia doloranti e muscoli stanchi. E non si erano mai fermate.
In quel momento ho capito che non erano imperfette: erano forti. Mi avevano portata lontano, molto più di quanto avessi mai creduto possibile.
Ho sorriso a quella nuova consapevolezza: che la bellezza non sta nella perfezione, ma nella storia che il nostro corpo porta con sé.
E ho pensato a quante donne, come me, hanno vissuto anni a nascondersi dietro l’insicurezza. Quel giorno ho capito che non dobbiamo chiedere al nostro corpo di essere perfetto: dobbiamo ringraziarlo per quello che ci permette di fare.
Da quel giorno, nella loro imperfezione, le mie gambe per me sono perfette.
L’ultimo incontro
E poi c’è Doug.
Lo abbiamo conosciuto a Villavante, dopo una tappa massacrante di 34 km. Era al suo primo viaggio in Europa, partito dall’Illinois alla soglia dei settant’anni. Il Cammino era stato il suo sogno per una vita intera. Aveva aspettato la pensione per realizzarlo, ma era arrivato il Covid. Anni sospesi, di tristezza e di attesa. Poi un giorno ha capito: era il momento di partire.
Durante quella cena comunitaria mio fratello gli ha chiesto: «Viaggi da solo?». E lui, con un sorriso, ha risposto: «Non sono solo. Sono con voi».
In quel momento ho capito che aveva ragione. Sul Cammino non sei mai davvero solo.
L’ho rivisto negli ultimi due giorni. Nonostante fosse sempre più veloce di noi, l’ultimo giorno ha deciso di aspettarci. Voleva condividere la gioia dell’arrivo. E così siamo entrati a Santiago insieme.
Davanti alla cattedrale, dopo più di 800 km e un mese di cammino per lui, e 340 km in due settimane per me, ci siamo guardati. Io gli ho detto soltanto: «You did it».
Lui ha sorriso. E io ho pensato che in fondo è vero: la felicità è reale solo quando è condivisa.
Doug mi ha ricordato che i sogni non hanno età.
L’arrivo a Santiago
Quando sono arrivata davanti alla cattedrale di Santiago, ho pianto.
Ho pianto perché, in fondo, anche io ce l’avevo fatta. Ogni passo, ogni dolore, ogni momento di dubbio mi aveva portata lì. Così non ho chiesto nulla a Dio, ma l’ho ringraziato.
Questo Cammino mi ha regalato le albe più belle della mia vita, la magia dei silenzi, la pioggia improvvisa, la natura incontaminata. Mi ha fatto incontrare persone straordinarie, ognuna con la sua storia, ognuna capace di lasciare un segno indelebile.
Grazie anche a mio fratello, compagno di viaggio e di vita, che ha condiviso con me ogni passo, ogni fatica e ogni sorriso. Senza di lui, nulla sarebbe stato lo stesso.
In quel momento, lì seduta, ho capito che il Cammino non finiva a Santiago. Era solo un riflesso del cammino più importante: quello della vita. Perché anche nella vita ci sono giorni in cui ti sembra impossibile andare avanti, giorni in cui vorresti mollare tutto. Ma poi continui a camminare. E la forza arriva dalle persone che incontri lungo la strada, da chi sceglie di condividere con te un pezzo del percorso.
Così, proprio come sul Cammino, nella vita non conta soltanto arrivare: conta con chi ci arrivi.
✨ Buen Camino.
O meglio: Buona vita.

Hola
Buen dìa
Hasta luego
No pasa nada
Ehy Guys
See you later
Ci vediamo a Santiago
Buen Camino
Gracias
Adios
Buona vita.



Un commento
Lorenzo Patrignani
Ciao fedora ho rivissuto tutto il cammino con te con questo testo, ti ringrazio con voi ho avuto dei grandi momenti di gioia tipo quando volevamo far mangiare a tutti i costi la pasta alla signora Dell ostello, “signora la pastaaa” oppure quella sera in ostello con organetto e chitarra tutti a cantare, anche se ti ricordo che non era proprio un miscuglio di popoli a far casino noi italiani facevamo il disordine pubblico e I tedeschi stavano all ultimo tavolo spaventati hahaha. É stato bellissimo ti ringrazio